Le categorie del mito, del mitico e del mitologico incrociano ripetutamente, e in modo significativo, il pensiero teorico e clinico di Bion. L'articolo, oltre ad evidenziare gli elementi di originalita' contenuti in tali rapporti (la distinzione tra mito privato e mito collettivo; il mito come <congiunzione> narrativa costante, e dunque come algoritmo verbale; la scomposizione fattoriale delle trame mitologiche), tenta di analizzare, il senso e il valore che essi assumono all'interno della psicoanalisi bioniana. Cosi', da una parte lungo l'asse verticale, strutturale della <griglia>, i miti appartengono a uno stadio o dimensione primitivi dell'attivita' psichica, al lavoro della funzione alfa; essi sono, esattamenti come i sogni, un genere di pensiero. Dall'altra, lungo l'asse orizzontale, funzionale dello schema, i materiali mitologici si trovano ad essere utilizzati, dentro e fuori dell'analisi per promuovere l'annotazione, l'esplorazione e l'indagine emozionale o cognitiva. I miti rappresentano insomma, tanto per l'analista che per il paziente, patterns, modelli narrativi utili a riflettere e sintetizzare le esperienze sollecitate dal contesto analitico; in particolare quelle relative al tema della <curiosita'>, e alla rischiosa impresa della conoscenza.